venerdì 29 marzo 2013

Gli alieni mancati di 2001

(updated english version available herepour les visiteurs francophones, voici la traduction en français, merci a ragemag.fr)

Introduzione

In un film come 2001, nato fin dall'inizio come progetto di esplorazione delle possibilità dell'esistenza di vita extraterrestre, prima o poi doveva emergere il problema di come rappresentare tali alieni. Kubrick si espresse così in un'intervista del 1970:
Fin dall'inizio della lavorazione del film discutemmo i modi di riprodurre una creatura extraterrestre in modo altrettanto strabiliante quanto l'esistenza stessa della creatura. E presto divenne apparente che non si può immaginare l'inimmaginabile. Tutto quello che si può fare è cercare di rappresentarlo artisticamente in modo che riporti qualcuna delle sue qualità. Ecco perchè abbiamo finito per ripiegare sul monolito nero - che ha, ovviamente, in sè qualcosa di un archetipo junghiano, e anche un bell'esempio di arte minimalista.
Certo l'idea del monolito è effettivamente geniale, e a distanza di decenni sembra anche quasi ovvia. Kubrick la fa facile, ma in realtà la ricerca di una rappresentazione più o meno credibile degli alieni comincia subito e continua in modo pressoché ininterrotto fino a poche settimane prima del debutto nel film (aprile 1968). La presenza del monolito e di una rappresentazione degli alieni hanno convissuto a lungo nelle sceneggiature provvisorie, tanto che si può dire che il monolito sia l'unica presenza aliena rimasta piuttosto che un'idea alternativa.

Kubrick aveva commissionato a diverse fonti centinaia di lavori inerenti ideazioni sugli extraterrestri; la moglie Christiane lavorò ai disegni preparatori sui paesaggi alieni e il collaboratore Anthony Frewin faceva ricerche sulle sculture moderne, sui dipinti di Max Ernst e in generale sull'arte del fantastico per cercare idee plausibili (alcuni di essi sono compresi in un documentario uscito nell'ultima versione a 2 dischi del DVD del film; altri si vedono qui su Vimeo).

un esempio di disegno preliminare per 2001 (fonte).
 
Max Ernst, Europe After The Rain (1940-42)

Contemporaneamente, dal diario di lavorazione riportato dallo sceneggiatore Arthur Clarke nel suo libro The Lost Worlds of 2001, scopriamo che anche lo scrittore perseguì molte idee e altrettante ne abbandonerà.

Da una nota datata 6 ottobre 1964:
Ho avuto un'idea che penso sia cruciale. Le persone che incontriamo nell'altro sistema solare sono umani che sono stati raccolti sulla terra centomila anni fa, e quindi virtualmente identici a noi.
Durante tutto il 1965 questa idea "umanoide" viene esplorata a lungo, mentre a cambiare è l'assunto iniziale: ad essere incontrati dagli uomini-scimmia prima e dagli astronauti poi sono alieni di una razza antichissima, dalle enormi capacità tecnologiche, che si dedicano a viaggiare nella galassia alla ricerca di forme di vita primitive da indirizzare (direi "incoraggiare") lungo il cammino verso l'intelligenza.

In questa fase ci doveva essere un alieno protagonista, che aveva anche un nome: Clindar; nome che Clarke ricicla senza tanti problemi da un suo vecchio racconto, Incontro all'alba (1953), che ne fornisce anche la traccia tematica. Clindar è un alieno bipede che "con un pò di chirurgia plastica potrebbe passare per uomo" ed è sostanzialmente uno scienziato-zoologo, che osservando sulla Terra il gruppo di uomini-scimmia di Guarda-la-Luna (il capo del branco) si dedica prima a guadagnare la loro fiducia uccidendo una gazzella e donandogli la carne, poi - attratto dal loro potenziale intelligente - decide di fargli fare un passo evolutivo decisivo mostrandogli come uccidere una iena con un osso.

Clindar è quindi, in questa fase, una versione antropomorfa del monolito: ha lo stesso ruolo di catalizzatore di potenzialità inespresse di una razza. Pian piano però viene deciso di collocare l'incontro con gli alieni nel clou del film, dopo il viaggio attraverso lo stargate, e da La Sentinella (1948), racconto di Clarke già scelto come punto di partenza del film, viene ripescato il monolito, stavolta concepito come macchina ipertecnologica necessaria per l'evoluzione dell'umanità.

Piano piano Clarke si allontana dalla rappresentazione simil-umana degli alieni: in un'altra versione della sceneggiatura, dopo aver attraversato lo stargate Bowman sorvola una città aliena dove scorge creature bipedi di aspetto vagamente rettile che lo osservano piuttosto distrattamente, e altre entità simili a mantidi o globi energetici. Addirittura, secondo una nota datata 25 maggio 1965, Kubrick è tentato di incorporare nel film il tema più scioccante di una dei racconti di Clarke che più lo aveva affascinato, Le guide del tramonto (1952) ma di cui non aveva potuto acquistare i diritti, già opzionati. In questa storia gli alieni si rivelano all'umanità, a sorpresa, come del tutto simili alla rappresentazione del diavolo nella cultura occidentale: esseri giganti con tanto di corna, coda ed ali di pipistrello....

Una rappresentazione degli esseri supremi di Le guide del Tramonto dell'illustratore Neil Adams; fonte)

L'idea demoniaca viene abbandonata velocemente, anche se alcuni aspetti sinistri rimangono in alcune foto disponibili sul sito di uno dei principali collaboratori agli effetti speciali del film, Douglas Trumbull.

la foto a destra è tratta dal libro The Stanley Kubrick Archives 

Si tratta di sculture simili a veri e propri "gargoyle", opere a forma demoniaca spesso presenti su alcune chiese e cattedrali cattoliche. Inutile dire che viste cinquant'anni dopo stridono come unghie sulla lavagna rispetto alla perfezione del monolito. Secondo Trumbull sono state prodotte in gomma e non è dato sapere se si tratta di modellini o prototipi per tute da far indossare ad un attore. Secondo una fonte non confermata, sarebbero state scolpite da Christiane Kubrick.

immagine tratta dal sito di Douglas Trumbull

Si insiste, nonostante tutto, sul concetto umanoide: nelle varie versioni della sceneggiatura che The Lost Worlds of 2001 riporta, Clarke ripropone più volte la classica forma "allungata" dell'alieno spesso rappresentato dalla fantascienza successiva, da Incontri ravvicinati del terzo tipo in poi. Uno dei responsabili agli effetti speciali, Wally Gentleman, ricorda:
In un'interpretazione l'alieno veniva avanti e prendeva Bowman per mano. Si trattava di una torreggiante creatura simile ad un insetto - piuttosto luminosa e vaporosa. Un modo logico di fare questo sarebbe stato quello di riprendere la creatura con lenti variabili anamorfiche per allargarne l'immagine sulla pellicola. Con questo tipo di lenti si è in grado si stringere l'immagine da un lato all'altro e dall'alto verso il basso, e puoi aumentare o diminuire il rapporto di schiacciamento; quindi, proiettando quest'immagine su uno specchio posizionato frontalmente a Bowman ad un angolo di 45° dalla camera, potevamo fare in modo che l'alieno apparisse in piedi esattamente al suo fianco e tutto sarebbe andato sul negativo originale. Del tutto tradizionale - la tecnica risale alle arti sceniche.
Vennero provate delle riprese di questo tipo facendo indossare ad un attore una tuta bianca: i risultati furono "insulsi e poco convincenti".

E' ancora Gentleman a ricordare altri tentativi:
Vi furono molte altre idee sugli alieni - la maggior parte delle quali sorte dopo che lasciai. Una fu una cosa dalla forma conica con piccole lampadine tonde a ricoprirne tutta la superficie - una consistente massa di luci scintillanti da far somigliare il tutto ad un albero di natale. Kubrick aveva messo Douglas Trumbull a lavorare su questo aspetto, ma Doug aveva un atteggiamento piuttosto sprezzante dell'intera idea.

Ci prova Trumbull


A questo punto lasciamo la parola a Douglas Trumbull, uno dei principali responsabili agli effetti speciali:
Trascorremmo un enorme (in corsivo nell'originale, ndr) quantità di tempo nel cercare di progettare extraterrestri che avremmo potuto inserire nel film, - afferma Trumbull. - Produssi non pochi effetti alieni impiegando il video feedback (l'effetto che si ottiene puntando una telecamera verso il video che sta mostrando l'immagine riprodotta dalla stessa, ndr) Quest'effetto ha uno strano tipo di essenza quasi "viva", per cui realizzai un sistema di video feedback per la creazione di forme di luce pulsante totalmente non umanoidi.
immagine tratta dal sito di Douglas Trumbull
Creai anche alcuni alieni impiegando lo stesso concetto nello stesso modo che per la 'Città di Luce' (una serie di pannelli con centinaia di lampadine sistemati in motivi di vario diametro, spegnibili ed accendibili a comando e riprese con la cinepresa in movimento, pensata per integrare la seguenza dello stargate ma mai utilizzata, ndr) solo che, invece di avere una miriade di piccole lampadine, misi insieme un proiettore caleidoscopico che produceva forme di diametro variabile e poi moltiplicava questo in quattro sfaccettature proiettandole su un pezzo di cartone bianco.
immagine tratta dal libro The Making of Kubrick's 2001
Allorquando questa cosa si muoveva nello spazio, creava un'immagine luminosa di volume variabile di forma piuttosto umanoide. Cambiando i motivi grafici nel caleidoscopio da un diametro più piccolo ad uno improvvisamente più esteso, ed assottigliando ed utilizzando due diametri più sottili, potei grossolanamente creare la forma di una testa, spalle, braccia, corpo e gambe.
immagine tratta dal sito di Douglas Trumbull 
Certo, il tutto era solo luce volumetrica dall'aspetto di una specie di medusa - dotata di una luminescenza trasparente. Vi erano aspetti in essa che funzionavano e altri meno - ad esempio era piuttosto difficile fare in modo che tali 'personaggi di luce' potessero muoversi o articolarsi. Sarebbe stato terribilmente complesso.
 
immagine tratta dal sito di Douglas Trumbull

Roddy Kilowatt


Anche Brian Johnson, assistente agli effetti speciali, fu impegnato nello sviluppo di un certo numero di concetti alieni:
Stanley voleva qualcosa che fosse realmente differente, ma non sapeva esattamente 
cosa. Ad un certo punto voleva una cosa simile ad una scultura di Giacometti - umanoide nella forma ma molto sottile e storta. Fu così che mi industriai nel produrre un costume di luce con sopra fissate tramite filo metallico circa 5.000 piccole lampadine. L'idea era quella di inserire uno dei ballerini che avevamo coreografato per la sequenza delle scimmie in tale costume - fatto di velluto nero - e poi fotografarlo con filtri a stella sull'obiettivo e varie altre cose. Le sole luci avrebbero definito la creatura. Poi avremmo cercato di schiacciare l'immagine in qualche modo e distorcerla così avremmo ottenuto questa stana creatura fluttuante. Vi lavorai per un bel pò di tempo. Lavorammo anche ad una variazione di quest'idea, impiegando un costume di velluto nero con una serie di punti su cui avremmo proiettato frontalmente delle immagini (utilizzando la stessa tecnologia con cui vennero realizzate le scene de 'L'alba dell'uomo', ndr). L'idea era che, privo di migliaia di piccole lampadine fissate sul costume, il ballerino avrebbe avuto molto più flessibilità nei movimenti. Ma tutto questo fu verso la fine della produzione, e non fu mai utilizzato. Penso perché non era ciò che Stanley propriamente desiderava.
una versione di una delle idee appena descritte: una scultura a forma di scultura di Giacometti, affettuosamente chiamata dai responsabili agli effetti speciali "Roddy Kilowatt".

Roddy Kilowatt (sin.) è stato per lungo tempo un personaggio pubblicitario utilizzato per la pubblicità dell'energia elettrica negli USA. Sulla destra, un'opera dello scultore svizzero Antonio Giacometti.

L'uomo a pois


Siamo a settembre 1967: presi dalla disperazione, si dà fondo alle idee più assurde. Il truccatore Stuart Freeborn, da poco scomparso, ricordava così in un intervista:
Un giorno venne da me Stanley e mi disse: "Ho un'idea. Che ne dici se realizzassimo una sorta d'illusione ottica? Aveva visto un modello punteggiato da qualche parte, frontalmente ad un fondale con motivo grafico puntinato - ed il risultato era qualcosa di virtualmente invisibile, ma comunque qualcosa di visibile solo perchè si trovava su un diverso piano del fondale. Era un'idea intrigante, e Stanley mi chiese d'iniziare a lavorare a qualcosa su questa falsariga. Per cui prendemmo un'attore (Dan Richter, ovvero Guarda-La-Luna, il capo del branco di uomini-scimmia, ndr), e realizzai una cuffia liscia che corrispondeva perfettamente alla sua testa; quindi misi punti neri tondi a ricoprirla uniformemente. Feci la stessa cosa ad un paio di calzamaglie che gli ricoprivano il resto del corpo. Prendemmo il più grande punzonatore di fori su carta che potemmo reperire e realizzammo cerchi perfetti di carta nera che incollammo tutti sulla sua figura bianca. Lo ricoprimmo completamente fino ad arrivare ai piedi, sulle gambe, dappertutto. Quindi lo posizionammo in piedi contro un fondale bianco con sopra punti circolari neri della stessa dimensione. L'effetto era sbalorditivo. Rimanendo fermo esso scompariva letteralmente nello sfondo; ma quando si muoveva, pareva riempire una forma. Si trattava di un effetto
sorprendente e inconsueto, veramente straordinario  - ma non penso fosse realmente adatto ad essere inserito nel film. Non capivo come Stanley avrebbe potuto utilizzarlo - ed infatti non lo fece mai.
La polaroid è un pò rovinata ma ci dà un'idea, soprattutto la cuffia! (Fonte)

Anche Richter ricorda questo episodio nelle sue memorie sulla lavorazione di 2001: nel suo diario, alla data 5 settembre 1967 aggiunge che si sarebbe trattato di girare su pellicola ad alto contrasto (bianco e nero, senza grigi) dopo essere stato collocato su una piattaforma girevole. Richter ricorda di aver girato delle prove dove si muoveva lentamente su indicazioni del regista. Il giorno dopo, guardando il girato
"[pur essendo estremamente interessante] era chiaro che si stava guardando un tipo coperto di punti neri. Stanley non fece più menzione della cosa.

Verso l'epilogo: il caso Sagan


Arthur Clarke, nel libro Greetings, carbon-based bipeds! (1997), attribuisce al famoso scienziato e divulgatore Carl Sagan l'idea originale di non rappresentare gli alieni come umanoidi, anzi a non mostrarli del tutto, citando le stesse parole di Sagan ai tempi di un loro incontro a casa Kubrick, a Manhattan, nel 1965:
"Non avevano idea di come far finire il film - ecco che mi hanno chiamato a risolvere la disputa. La questione principale era di come rappresentare gli extraterrestri... Kubrick sosteneva che questi sarebbero stati simili agli umani, con piccole differenze, alla Spock. E Arthur invece che non sarebbero per nulla sembrati simili a noi... io ho detto che sarebbe stato un disastro il rappresentare gli extraterrestri... il numero di eventi improbabili nella storia dell'evoluzione umana è stato così grande che niente come noi è probabile che si sviluppi nell'universo.. ogni esplicita rappresentazione di un'intelligenza aliena è destinata ad avere almeno un elemento di falsità in essa... quello che bisogna fare è suggerire la loro esistenza..." E continua Clarke: 25 anni dopo, non ricordo l'immediata reazione di Stanley a questo ottimo consiglio, ma dopo tentativi abortiti nei successivi due anni, egli accettò la soluzione di Carl.
Nel libro del 2006 Interviste Extraterrestri, che raccoglie le trascrizioni delle interviste effettuate ad alcuni scienziati riguardo alla possibilità di vita extraterrestre e pensate per un prologo al film che poi non fu mai inserito, il collaboratore di Kubrick Antonhy Frewin cerca di mettere i puntini sulle i, precisando che Kubrick "cominciò a pensare all'aspetto degli alieni a fine 1965 e per tutto il 1966", per cui
Se Kubrick avesse seguito il consiglio di Sagan non avremmo fatto tutto questo (lavoro, ndr). Alla fine K. capì che non saprebbe stata una buona idea mostrare gli alieni, proprio come non era una buona idea inserire una lotta a torte in faccia alla fine del Dottor Stranamore.
Frewin omette che si arrivò almeno fino a settembre '67 con la "ricerca" degli alieni. Di sicuro il regista ci provò fino all'ultimo prima di dare, se così fu, ragione a Sagan!

conclusioni

... direttamente da Arthur Clarke, nel suo consueto stile immaginifico:
La nostra soluzione finale adesso sembra l'unica possibile, ma prima di arrivarci abbiamo speso mesi immaginandoci strani mondi, città e creature, nella speranza di trovare qualcosa che producesse il giusto shock. Tutto quel materiale è stato abbandonato, ma non penso che niente sia stato inutile: conteneva le alternative che dovevano essere eliminate, e quindi per prima cosa dovevano essere create. [...]
Stanley Kubrick ed io stavamo ancora brancolando verso il finale che sentivamo dovesse esistere - proprio come uno scultore, si dice, rimuove materiale dalla pietra verso la scultura nascosta in essa.
* * *

fonti:

lunedì 18 marzo 2013

Un secondo Hal?

Quando uno pensa di aver letto di tutto, salta fuori qualcosa che ti lascia a bocca aperta.

Grazie alla decisione della famiglia Kubrick di donare tutti gli archivi del regista all'Università di Londra, è nato uno splendido luogo che spero di poter visitare presto: The Stanley Kubrick Archive.

Bene, inosservati a tutti (l'articolo è del 2008) gli archivisti e i catalogatori di questa lodevole istituzione hanno tirato fuori dagli scatoloni una gemma clamorosa: da una sceneggiatura provvisoria di 2001, non datata, salta fuori che Clarke e Kubrick avevano ipotizzato che proprio nel climax del viaggio verso Giove, quando Dave Bowman sta per andare a disconnettere HAL, saltasse fuori un secondo Hal.


HAL

    Dave, non capisco perchè devi farmi questo. So che ho fatto alcune cose sbagliate, ma ho ancora il più grande entusiasmo e fiducia nella missione.

    ALTRO HAL

    Dave, non farei attenzione ad Hal. Stai facendo la cosa giusta, Hal deve essere scollegato. Sta diventando pericolosamente inaffidabile.

    BOWMAN

Tu chi sei?

    OTHER HAL

Sono l'amico di Hal.

* * *

Vi siete ripresi dallo shock? 

Allora, sappiamo bene dalle testimonianze del co-sceneggiatore Arthur Clarke che la storia della sceneggiatura di 2001 è stata alquanto tribolata; i blocchi principali narrativi erano stati sviluppati in modo chiaro, ovviamente, per permettere la costruzione dei set di ripresa: la Stazione spaziale, la Discovery, la base lunare, gli altri shuttle.

Tuttavia, man mano che si avanzava nelle riprese (iniziate nel dicembre '65 e proseguite fino all'autunno del '66) Kubrick, insoddisfatto, si riservava il diritto di far continuare Clarke nella stesura e ristesura delle parti finali della storia, che effettivamente sono quelle che hanno subito le maggiori modifiche: ne sono testimonianza le tante direzioni alternative che Clarke presenta nel libro del 1972 The Lost Worlds of 2001 e che testimonia nel libro di Jerome Agel The Making of Kubrick's 2001 (oltre che le differenze contenute nel romanzo, uscito dopo il film).

Uno dei primi motivi per cui è ipotizzabile che il dinamico duo avesse previsto un altro Hal (che non è il calcolatore gemello 9000 rimasto sulla Terra che appare nella versione definitiva del film, in quanto le comunicazioni a distanza di milioni di chilometri non possono essere istantanee) è che questo in qualche modo potesse fungere da "rivelatore" dello scopo finale della missione, in modo analogo a quello che fa Heywood Floyd nel video che parte automaticamente dopo la disconnessione di Hal.


Ad ogni modo, la frase che l'"altro" Hal pronuncia in questa sceneggiatura è in palese contrasto con la tensione drammatica che conosciamo nella versione definitiva: Dave, dopo aver subito un tentativo di omicidio, è più che mai fermamente determinato a disconnettere Hal, cosa che aveva già previsto con il povero Frank e necessità che è ormai lampante dopo la conversazione avuta prima del rientro attraverso il portello di emergenza. Non c'era certo bisogno di un "altro" calcolatore che motivasse un incazzatissimo Dave. L'effetto, a leggerlo e immaginarlo, è - per noi abituati alla versione definitiva - quasi comico. Non si capisce poi la necessità di mentire ai membri dell'equipaggio sulla presenza di un altro calcolatore a bordo.

L'unica ipotesi plausibile è che il "secondo" Hal non fosse un vero e proprio secondo calcolatore, ma un'altra "personalità" di Hal: che il calcolatore avesse sviluppato una specie di psicosi è evidente, e forse Clarke stava sperimentando come mettere su carta questo duello interiore fra le due personalità del calcolatore, quella che voleva a tutti i costi mantenere il controllo sulla missione e quella che si era resa conto di cosa stava succedendo.

Per fortuna regista e sceneggiatore hanno preso le decisioni giuste, e tutto questo è accademia (cit.); in tutti i casi, vederlo scritto su carta è piuttosto sconcertante, anzichenò.

sabato 16 marzo 2013

"Chissà cosa intendeva quando mi ha detto: 'Buongiorno'?"

Gli appassionati di fantascienza sapranno già che in 2001 ha una piccola parte il famoso Comandante Straker della serie UFO di Gerry e Sylvia Anderson: l'attore newyorkese Ed Bishop.

Ed Bishop: Comandante Straker e Comandante dell'Aries II

Diversamente da Ann Gillis, il buon Bishop (scomparso nel 2005) grazie al successo di UFO nel mondo è stato intervistato un sacco di volte; in alcune di queste ha rilasciato qualche dichiarazione riguardante la sua esperienza sul set di 2001 e il suo rapporto con Kubrick:
Avevo avuto una particina in Lolita [il dottore, nella scena in cui Humbert scopre che la moglie è morta, ndt] ed ero appena uscito dalla scuola di recitazione. Era il primo film che avessi mai fatto, e lì ho incontrato quest'uomo che a scuola avevamo idolatrato, insomma, 'Orizzonti di Gloria' e tutto il resto.
Dopo Lolita [Kubrick] era stato molto elogiativo nei miei riguardi. Diceva, "Ed, vorrei lavorare di nuovo con te", e uno pensa, stronzate! ma poi un giorno sei a casa, il telefono squilla ed è Lui all'altro capo del telefono. Deliravo per lavorare di nuovo con lui. [...] Ho lavorato una settimana nel film e allo stesso tempo lavoravo in un teatro nel West End londinese, da cui uscivo tutti i giorni per andare negli studi MGM per le riprese.
Le cronache hollywoodiane sono piene di testimonianze di collaboratori di Kubrick offesi da qualche comportamento del regista: per la maggior parte delle volte si tratta di personaggi delusi da non aver avuto dallo stesso l'attenzione o le coccole che gli stessi pensavano di meritare (mi vengono in mente Frederic Raphael, Malcom McDowell, in parte lo stesso Gary Lockwood).

La storia di Bishop non sembra essere diversa: forse a causa delle sue stesse aspettative, un pò altine rispetto all'importanza del suo ruolo nel film, forse in parte dovute alla formazione teatrale dell'attore:
Ancora non ho capito cos'è successo. Qualunque cosa facessi, sbagliavo. Non è che mi abbia cacciato. Non c'erano cacciate con Stanley. Semplicemente, lo capivi. Io cercavo disperatamente di entrare in contatto con lui, di capire cosa diavolo volesse. [...] Non avevo idea di cosa stesse parlando! Sono il tipo di attore che deve avere una relazione aperta con il regista. Lui invece faceva degli strani giochini. Un giorno diceva "Dunque, Ed, quello che penso che dovresti fare è..." e tu ti rompevi la schiena tutto il giorno per farlo. E il giorno dopo diceva "No, non credo proprio che tu lo stia facendo." Sono arrivato al punto, all'ottavo giorno di lavorazione, in cui mi diceva "Buongiorno" e io cominciavo a chiedermi cosa intendesse veramente.
Non sono né un attore né tantomeno un regista, ma dopo otto giorni di lavoro, peraltro inframezzati da un'altra esperienza lavorativa, non mi sembra che un regista che ti dice gentilmente che non stai facendo quello che vuole possa essere causa di particolari paranoie. Invece la maggior parte delle interviste di Bishop sono coerenti per quanto riguarda questo punto: redatte tra il 1996 e il 2002, Bishop sospira sempre quando si tocca il tasto Kubrick, dice che quella in 2001 è stata un'esperienza molto infelice, un episodio triste nella sua carriera, si lamenta della presunta "doppiezza" del regista.

Ma come spesso avviene, passa il tempo e le idee cambiano (è successo con McDowell, l'interprete di Arancia Meccanica): in un intervista resa più avanti sempre nel 2002, guarda caso dopo essere stato intervistato per il documentario sul making del film 2001 - the making of a myth (dove in un paio di frasi riesce ad essere un pò acidino) il ricordo di aver lavorato con Kubrick diventa improvvisamente molto piacevole:
Ho preso parte al documentario sul making of, non molto tempo fa, e ho sentito che la Warner Bros potrebbe rilasciare la versione originale, con tutte le parti tagliate re-incluse, così tengo le dita incrociate. E' stata un'esperienza molto piacevole lavorare con Kubrick, ovviamente fu uno dei pochi geni in giro. E vedere le mie scene re-inserite dopo tutto questo tempo sarebbe grande.

Comunque sia, Kubrick non ha certo bisogno della nostra difesa. Concentriamo invece la nostra attenzione sui dettagli che Bishop rivela sul girato di alcune scene: in un brano interessante, per esempio, ci ricorda che soffriva in modo ricorrente di claustrofobia.
C'era una bellissima scena dove l'ascensore si apre e io esco fuori. Ma mentre stavo aspettando di cominciare la ripresa, comincio ad entrare nel panico. Non c'era niente di improvvisato nei set di Kubrick - ogni singola cosa funzionava, e questo ascensore si chiudeva sul serio. Non sono uscito finchè qualcuno ha premuto un bottone, così era come stare in un vero ascensore - non esci finchè il meccanismo non ti fa uscire - così ho passato un brutto quarto d'ora.
In un altro brano, Bishop rivela il contenuto di una delle scene tagliate:
Poi ho fatto quella bella scena con quel tipo [William Sylvester, che interpreta Heywood Floyd]. Dovevo parlargli perchè era l'unico passeggero verso la Luna e dovevo scoprire come stavano andando davvero le cose. C'era una scena tra me e il co-pilota, in cui lui diceva: "Ehi, cosa sta succedendo? Perchè andiamo su con solo un passeggero?" E io "Proverò a scoprirlo". [...] Abbiamo girato un sacco di materiale e mi si è spezzato il cuore quando ho visto il film all'uscita... avevamo girato per nove ore ed è stato tagliato a tre!
Confermando la sensazione di Ann Gillis e di altri dei tanti collaboratori di Kubrick nel film, Bishop fa capire chiaramente che il piano di lavorazione del film era precisissimo per quanto riguarda le riprese e la realizzazione degli effetti speciali, ma un pò carente per i dialoghi, del resto in perfetta coincidenza con i desideri del regista, che con 2001 voleva creare principalmente "un'esperienza non verbale".
In quel momento nessuno sapeva come fosse la sceneggiatura, non l'aveva visto nessuno in versione definitiva. Era tutto nella testa di Kubrick. [...] Dato che non c'era sceneggiatura, semplicemente improvvisavamo. Kubrick diceva, ragazzi, andate e inventate una scena, tornate e ci diamo un'occhiata. Fu assolutamente incredibile. [...] Aveva il controllo totale, sapeva tutto sui modellini e sui costumi. Aveva proprio tutto in testa. [...] Era un tipo veramente, veramente complesso. La maggior parte di noi funziona su più di un livello, diciamo tre. Con lui ho perso il conto a cinque.

* * *

Fonti:
http://ufoseries.com/magazines/dreamwatch22.html
http://www.shadolibrary.org/actors/bishop/bentley2.shtml
http://edstraker.net/en/june2011/articles/287/George-Victor-Bishop-%281932-2005%29.htm
http://ufoseries.com/magazines/sfxSpring2002text.jpg
http://www.sci-fi-online.com/Interview/03-26_EDBishop.htm

mercoledì 13 marzo 2013

"Ecco cosa succede a dare carta bianca a un regista!"

Dai meandri del web riesumo l'unica intervista esistente all'attrice che interpreta uno dei tanti piccoli ruoli femminili in 2001: Ann Gillis, ovvero la madre di Frank Poole, l'astronauta che viene ucciso da HAL durante l'attività extraveicolare nel viaggio della Discovery verso Giove.

Ann Gillis durante la videochiamata

L'attrice appare nel film in uno schermo televisivo della Discovery, mentre Frank Poole, che si sta abbronzando su un lettino UVA, riceve gli auguri di compleanno registrati dai suoi genitori sulla terra. [Il lettino abbronzante non era a puro beneficio estetico degli astronauti: durante le ricerche per la realizzazione del film era stato ipotizzato che gli stessi, così a lungo assenti dalla superficie terrestre, avrebbero dovuto assumere una certa quantità di vitamina B in modo artificiale.]

Grazie a Rusty White per il permesso di tradurre l'intervista, di cui riporto il brano dedicato all'esperienza sul set di 2001. Il blog di Rusty è raggiungibile qui: http://rustywhitesfilmworldobituaries.blogspot.it/

* * *

[...] Ha interrotto il suo ritiro dalle scene dopo 20 anni per una piccola parte in '2001: odissea nello spazio'. Come sono andate le cose e com'è stato lavorare con Kubrick?

C'è stato un casting che cercava attrici americane a Londra. Vivevo lì con mio marito all'epoca, così mi sono detta, perchè no.

Ha interpretato uno dei genitori degli astronauti in una videochiamata interplanetaria, no?

Sì. Beh, Kubrick era un vero idiota ['jerk' nell'originale inglese, ndt]. Ecco cosa succede a dare carta bianca ad un regista. Aveva assunto due coppie di "genitori". Io ero l'attrice di riserva. La parte non era nella sceneggiatura, così disse ai due attori titolari di scriversi le parti a pranzo. L'hanno fatto; l'attrice che era stata scelta ha letto la parte così come l'aveva scritta. Kubrick l'ha licenziata e ha detto: "Mi piace di più quell'altra".

E "quell'altra" era lei?

Ero io. Mi chiamavano così [Nè la madre nè il padre di Poole hanno un nome nella sceneggiatura, ndt]. Beh, ho preso le battute, ho cominciato a provare e poi a girare. Era difficile perchè eravamo seduti fianco a fianco ma recitavamo battute a cui nessuno rispondeva. Inoltre la mia conversazione e quella dell'altro attore [il padre di Poole, l'attore Alan Gifford, ndt] non erano in relazione tra di loro. E Kubrick continuava a cambiare le battute. Poi l'attore [sempre Gifford, ndt] salta su e dice che ha un'idea per delle battute nuove; e Kubrick gliele fa provare. Tra me e me pensavo, "Tienitele per te le tue idee!"

Abbiamo ripetuto la scena 21 volte, e Kubrick le ha stampate tutte. Ai vecchi tempi i registi non stampavano mai tutte le riprese. Kubrick ha stampato tutte le 21 riprese di una scena minuscola che durava pochi secondi. E voleva continuare ancora, quando ad un certo punto ho detto "Ne hai fatte abbastanza, me ne vado". E me ne sono andata. 21 volte, ridicolo.

* * *

 la scena della videochiamata, con uno spaparanzatissimo Gary Lockwood

L'intervista si commenta da sola... ricordiamo che è datata 2001, quindi è avvenuta dopo la scomparsa del regista (deceduto nel 1999), il che può aver rilasciato un pò i freni inibitori dell'anziana attrice (nata nel 1925). Fra l'altro la Gillis si era ritirata dalle scene giovanissima, quindi tornare su un set cinematografico dopo quasi vent'anni (per una decade si era dedicata solo a lavori in televisione) e proprio con uno come S.K. dev'essere stato uno shock non da poco.

Ma a parte le gag, è significativo che la Gillis faccia in qualche modo capire che la scena non fosse prevista nella sceneggiatura originale (gli attori si sono scritti le loro battute).

In realtà durante quella scena il padre di Frank Poole, l'attore Alan Gifford, fa un curioso riferimento a degli aumenti di pensione o di stipendio che non sembrano avere molto senso in quel contesto; ma pochi giorni fa, leggendo una delle versioni preliminari della sceneggiatura che circolano sul web e datata ottobre 1965, mi sono accorto che quella frase che sembra buttata lì assume un senso completamente diverso. Di sicuro quella scena non era stata improvvisata dagli attori: capiremo perchè molto presto, in un nuovo articolo.

martedì 12 marzo 2013

Le illustrazioni perdute dal set di 2001

Un velocissimo post per segnalare un bell'articolo di Filippo Ulivieri sulle illustrazioni perdute di Brian Sanders dal set di 2001. Assolutamente da leggere. Segnalazione originale di Fabio.


giovedì 7 marzo 2013

Di nuovo? Speriamo di no

L'Europeo è stato un grande settimanale italiano d'attualità, pubblicato dal 1945 al 1995. È tornato in stampa dal 2001, sotto la direzione di Daniele Protti, con bellissimi numeri monografici che riprongono gli articoli del proprio archivio.

Per l'Europeo hanno scritto i più grandi, tra cui Biagi, Bocca, Campanile, Cederna, Del Buono, Flaiano, Montanelli, Moravia... Sono vecchio abbastanza per averlo acquistato, letto e apprezzato ai tempi della prima guerra del Golfo, al liceo.

L'attuale crisi del gruppo RCS a cui il periodico appartiene minaccia di nuovo di chiusura l'Europeo. Non facciamo chiudere questa ottima pubblicazione, che apparve anche sul set di 2001 (ricerche sono in corso su come andò una delle primissime operazioni di product placement in Italia; se qualcuno ne sapesse di più, ogni informazione è preziosa).



Questo è il sito non ufficiale del periodico e questa è la petizione che il Centro Europeo di Studi Arrigo Benedetti ha proposto per salvarlo.

In bocca al lupo a tutti i giornalisti coinvolti.

mercoledì 6 marzo 2013

Federico Greco intervista Antonio Margheriti

Facendo seguito al mio precedente post in cui Federico Greco intervistava Gino Pellegrini, oggi pubblico, sempre con il permesso di uno degli autori di Stanley & Us, un'intervista ad uno dei più grandi registi "di genere" - anzi, registi e basta - che l'Italia abbia mai avuto: Antonio Margheriti, scomparso nel 2002.

A lungo è circolata su internet e negli ambienti cinematografici kubrickiani (e non) la leggenda che Margheriti avesse aiutato Kubrick nella realizzazione degli effetti speciali di 2001: odissea nello spazio. In questa bella intervista Federico - con la collaborazione di Dean Bulletti - aiuta a chiarire i dubbi e ci presenta un bel ritratto dell'ingegnoso regista. Ritroveremo Margheriti in una delle prossime puntate della mia serie di articoli "precursori".

L'intervista l'ho salvata dallo scomparso sito che la ospitava, Cinemazip.rai.it. Ne esiste una versione precedente (febbraio 2001) nel sito di Federico. In quella che vi presento di seguito ho solo aggiunto le due immagini che la illustrano: la prima proviene dal sito ufficiale di Antonio Margheriti gestito dal figlio Edoardo; la seconda da un interessante sito in cui possiamo leggere una bella recensione di Space Man.


ANTONIO MARGHERITI, INTERVISTA

Sabato 21 Luglio 2001
di Federico Greco e Dean Buletti

Dopo cento anni Georges Méliès si è reincarnato in uno dei più straordinari creatori di trucchi che il cinema ricordi. E’ italiano e si chiama Antonio Margheriti (o, se volete, Anthony Daisies, o ancora Anthony M. Dawson).
Antonio Margheriti ancora oggi lavora a mano, in totale artigianato, come si faceva nel 1896. Insieme a Riccardo Freda e Mario Bava, ha rappresentato un capitolo fondamentale del cinema italiano, ancora poco riconosciuto dalla storia ufficiale. Ed è anche una specie di "gemello" di Kubrick a cui lo uniscono tantissime analogie.
Anche 2001 Odissea nello spazio è un grande film di fantascienza realizzato esclusivamente con effetti fotografici e con il contributo di decine di scenografi e aiuti scenografi: all’epoca quegli effetti erano all’avanguardia, ma alla luce delle nuove tecnologie digitali sembra veramente "fatto con le mani", nonostante i risultati continuino a rimanere straordinari.

Le coincidenze non finiscono qui. Margheriti non ha mai fatto dei film "normali", è sempre riuscito a metterci dentro delle trovate. Un elemento comune è anche il divertimento: molte volte Antonio era anche autore del soggetto, della sceneggiatura, degli effetti speciali, del montaggio. Un one-man-band come Stanley, ma anche come Russ Meyer o il primo Lucas.
Abbiamo parlato con lui nella sua villa fuori Roma che affaccia sul lago di Bracciano...

Per quale motivo Kubrick la chiamò a collaborare per 2001?

Fui chiamato dal presidente della Metro International, Maurice "Red" Silverstein, perché poco prima per loro avevo fatto L’arciere delle mille e una notte (1964), un film fantastico in cui c’era una battaglia di tappeti volanti. Questa sequenza colpì molto i dirigenti della Metro, perché non la realizzai come avrebbe fatto chiunque, cioè con semplici bluescreen, ma facendo in modo che questi tappeti volassero in ogni parte dell’inquadratura: addirittura entravano in campo scavalcando la macchina da presa... Fu complicatissimo. A quei tempi, negli anni ’60, non si faceva. Una fatica enorme, anche per illuminare il set: avevamo qualcosa come 20-25 bruti – delle lampade a incandescenza, con l’arco, il carbone... Poteva capitare che mentre avevamo preparato l’ultimo, il primo si stava scaricando. Giravamo un quadro al giorno. Per me che ero abituato a fare i film in due settimane e un giorno (il giorno serviva di solito per gli effetti speciali o i trucchi), fu una fatica enorme, ma devo riconoscere che gli effetti vennero molto bene. Piacque talmente in America, tecnicamente, che Silversteen mi volle a Londra. Andammo a casa di Stanley Kubrick, ad Abbots Mead (la vecchia casa, ultimamente Stanley viveva a St. Albans, nell’Hertfordhire, ndr), una grande villa di campagna. E il film piacque molto anche a Kubrick.

 Una scena de L'arciere delle mille e una notte (1964)

E perché rifiutò?

Io sono un regista che non ama pensare, preferisco fare con le mie mani (vedete, sono tutte rovinate e piene di cerotti...). Su 2001 si sarebbe trattato di pensare, e poi io sono uno che ci mette molto poco a fare un film. Lì sarei stato nove mesi... è un mondo che non mi appartiene. Mi chiesero di seguire gli effetti speciali e di supervisionare la parte creativa, proprio perché gli era piaciuto molto il modo in cui avevo affrontato la realizzazione di quegli effetti speciali nel mio film. Avrei dovuto affiancare Douglas Trumbull, il vero creatore degli effetti di 2001. Quando vidi il suo primo film (2002: la seconda odissea, del 1971) rimasi a bocca aperta. Lui veniva da Cape Canaveral. Era perfetto per quel ruolo, era l’uomo giusto, sarebbe stato capace anche di passare anni su quel film. Io non sarei neppure riuscito a metterci una mano. E poi ero in un periodo curioso... non volevo preoccupazioni. Tanto sapevo che c’era san Silverstein che ogni volta che c’era da lavorare mi chiamava. Lo so, ho perso una grande occasione.

Anche 2001, per molti aspetti, fu un film "artigianale".

E' vero, ma era un artigianato di lusso. Il punto di arrivo è artigianale, ma preparato e studiato... E il lusso era anche che Kubrick poteva permettersi di non spiegare nulla di quello che stava facendo ai produttori. Io ancora oggi mi faccio tantissime domande sul significato di molte scene. Ma come tutti, perché anche alla Metro nessuno poteva dire niente. Dopo la proiezione ci fu un momento di religioso silenzio, perché nessuno aveva il coraggio di dire niente... nemmeno di dire: "Non l’ho capito". Certi sgusciavano via...

Lei ha spesso rifiutato grandi progetti internazionali...

Sì. Fui chiamato anche da Dino De Laurentiis per King Kong. C’era già Rambaldi per i trucchi. Io ho letto il copione e ho detto: "Scusate, sto preparando un altro film".

E’ opinione comune che 2001 abbia rifondato la fantascienza...

No, 2001 l’ha fondata. L’ha fatta. Non si era mai fatta la fantascienza come andava fatta... Poi che quel film abbia delle cose che possono non piacere, che abbia delle scene troppo lunghe...
Prima di quello avevo visto un solo film di fantascienza che mi aveva fatto divertire per i trucchi, Il pianeta proibito (un film di Fred Wilcox del 1956 in cui appare per la prima volta Robbie il robot), con Walter Pidgeon. C’erano dei trucchi straordinari.

Qual era la situazione del cinema di fantascienza in Italia nel '60, quando lei iniziò con il suo "Space man"?

C’era stato un piccolo film di fantascienza, in bianco e nero, e l’operatore era Mario Bava. Era la fine degli anni '50. Ora non ricordo il titolo...(Si tratta di La morte viene dallo Spazio, 1958, di Paolo Heusch; Mario Bava è pure curatore degli effetti speciali, ndr).

E il suo Space man?

Era una produzione della Titanus e della Ultra Film di Turi Vasile col quale sto per lavorare di nuovo. Lo realizzammo tutto alla allora Titanus Appia, l’ex "Scalera". L’astronave del film in parte era un modellino dell’astronave per Marte disegnata da Werner Von Braun negli anni '50. Comprai il modellino alla Upim per mille lire. Mi misero a disposizione cinquanta milioni. Ne dovevo spendere quarantotto ma sforai di due.

Una scena di Space Man (1960)

All’epoca in Italia c’era lo zero assoluto dal punto di vista delle produzioni di fantascienza...

Sì, Vasile riuscì a convincere Goffredo Lombardo (produttore tra gli altri di Rocco e i suoi fratelli e Il Gattopardo, ndr). Venne in teatro di posa e vide il modellino con cui mi stavo divertendo mentre all’epoca giravo per loro dei piccoli caroselli... Poi girai Il pianeta degli uomini spenti.

Quali mezzi aveva a disposizione quando ricostruiva lo "Spazio" in studio?

Il più delle volte avevo un panno nero e davanti delle piccole lampadine. Solo più tardi mi fu consentito di fare dei buchi nel panno e mettere le lampadine dietro.

Perché?

Perché il panno nero costava, ragazzi, mica si poteva bucare... E la Terra era un enorme globo che stava nei bagni degli studi, una specie di lampadario, che io facevo sempre portare via. Era enorme... non riuscivo a trovare in giro una cosa simile, altrimenti l’avrei comprata.
Capitava spesso poi che utilizzassi degli specchi quando non c’erano soldi per rendere interessanti delle scene che avevano bisogno di atmosfere particolari. Nei momenti di crisi chiedevo al mio collaboratore: "Facciamo una specchiata?".

Perché cambiò nome?

Me lo chiesero Lombardo e i distributori americani, perché in un film del genere (Space man) Margheriti non andava bene. Io lo cambiai in Daisies, che significa "Margherite". Poi dall’America mi arrivò un telegramma, mentre preparavo il secondo film: "Dawson is o.k.?". Antonio Margherite suonava male, poteva sembrare omosessuale: Antonio che va a margherite... Ma ci fu un film, l’unico, che firmai con il mio vero nome. E fu proprio L’arciere delle mille e una notte.

Girava film destinati al mercato americano.

Sì, ma anche all’Italia. Il genere di film che ho fatto è sempre andato in tutto il mondo. Precedevo sempre tutti i generi. Io facevo fantascienza mentre in Italia si facevano i peplum... I western, ad un certo punto, non li avrei voluti fare, perché i primi western, girati in Spagna, erano brutti. Ne ho fatti tre soltanto. Se non nasceva Sergio Leone il western all’italiana non sarebbe mai arrivato al successo mondiale. Io che avevo un mercato all’estero non sarei mai riuscito a vendere un film western se prima non fosse nato un genere.

venerdì 1 marzo 2013

L'eterno ritorno di Keir Dullea

Si può essere schizzinosi riguardo al ruolo che ha cambiato la tua carriera di attore e ti ha fatto entrare nella storia della cultura occidentale?

Evidentemente no, e da persona intelligente, Keir Dullea, il comandante Dave Bowman di 2001: odissea nello spazio, non ha mai disdegnato di intepretare piccoli cameo o altri ruoli a sfondo fantascientifico.

 
E' da poco uscito un bel cortometraggio di fantascienza, HENRi, in cui il computer organico di un'astronave alla deriva nello spazio acquista gradualmente la consapevolezza di esistere, finendo per costruirsi un corpo metallico con i pezzi disponibili sul relitto in cui è a bordo, ormai da solo. Dullea fornisce la voce a HENRi e in un intervista dietro le quinte dichiara:
"Penso che si possa dire che HENRi sia una versione sana di HAL."
  Dullea, in una inedita versione baffuta, nell'intervista dietro le quinte di HENRi

Il film ricorda molto nelle atmosfere il recente Moon del figlio di David Bowie, Duncan Jones, (che era a sua volta un omaggio esplicito a 2001) e sembra ben realizzato, con una tecnica mista tra modellini e computer-grafica.

Ne approfitto per segnalarvi volentieri un altro corto (anzi cortissimo, si tratta di un concept pubblicitario) di un paio di anni fa, veramente impressionante, in cui Dullea ritorna nella stanza in cui si trova Dave Bowman nelle scene finali di 2001:


Non vi rovino la sopresa sull'oggetto che Dullea sta per toccare. 
 
Buona visione!

Grazie a Filippo per la segnalazione di HENRi.